Questa è la storia di una di quelle volte in cui sono capitata nel ristorante sbagliato.
Questa è una vicenda paradossale.
Questa è una di quelle occasioni che narrerò per anni, e che rimarranno ben impresse nella memoria.
Signore e signori, torna la la regal Débâcle!
Dopo la famosa fiorentina e la pessima cena di Groupon , questa volta andiamo sull’etnico.
Era una freddissima sera di inizio febbraio.
Io e la mia prode amica Ambra avevamo in programma di andare al concerto di Awolnation al Tunnel, ma ci eravamo poste il problema “cena”.
Dopo aver scartato un kebab al grido di “andiamo sul sano“, siamo entrate in un ristorante cinese in zona stazione centrale, che il riuscire a rispettare il suddetto proposito era fin troppo arduo per noi.
Varchiamo quindi la soglia di questo posto dalle tipiche lanterne rosse e abbiamo immediatamente la netta impressione di essere sgradite. Davvero. I pochi presenti – due cameriere e quattro persone a un tavolo – ci guardano come se stessero pensando “E voi che ci fate qui?“.
Che potevamo fare, andarcene subito? Ecco, avremmo dovuto: il posto era squallido, le sopracitate cameriere non parlavano quasi italiano (come si potrà dedurre da ciò che vi racconterò) e l’atmosfera era triste. Però il tempo stringeva e noi avevamo bisogno di mangiare qualcosa prima del concerto.
Ordiniamo piatti basici della cucina cinese occidentale, pensando che non ci potrà comunque essere molta differenza dagli altri posti. Appunto, ci sbagliavano: l’aggettivo più nobile che mi sovviene è “raccapricciante“. Gli spaghetti di soia erano immersi nell’olio esausto con cui erano stati saltati, le nuvole di gambero sapevano di “un mese fa“, il riso aveva un retrogusto di gomme Michelin dopo una corsa. Insomma, ‘na meraviglia.
Ci rendiamo conto che quello non può essere un vero ristorante cinese bensì una copertura per qualcos’altro.
I secondi tardavano ad arrivare, altra prova della poca affidabilità del posto: siete mai stati in un cinese in cui non vi portassero tutto l’ordinato nel giro di 10 minuti? Comunque, diciamo alla cameriera che dobbiamo andarcene, e chiediamo di rinunciare agli altri piatti.
Morale: due minuti dopo ce li portano dentro le scatole di alluminio dell’asporto. Appena appoggia il sacchetto sul tavolo io e Ambra ci guardiamo tra il perplesso e l’incredulo, non riuscendo proprio a spiegare il fraintendimento, senza forze morali e balbettando un “Ma… ma…!“.
Ci alziamo, paghiamo e usciamo. Noi e il nostro sacchetto.
Ci allontaniamo di qualche passo, ci guardiamo e scoppiamo a ridere per la pessima avventura, sventura, tragedia.
Mai, mai, mai più.
E se non vi scrivo il nome del posto è per due motivi:
1) sono certa che nessuno di voi ci entrerà mai, che anche dall’esterno non promette bene;
2) sono davvero convinta che nasconda qualcosa di strano, quindi… meglio tutelarsi, no? Che poi mi trovo i killer sotto casa che mi lanciano terribili gambi di sedano o cose simili.
Prossima volta: kebab.
@postoditacco says
Io una recensione al vetriolo su Yelp la scriverei eccome, Arianna
El Kabong says
Morale della favola: mai scartare un kebab.
Sybelle says
Precisamente.