Nella mia cucina convivono senza alcun problema il sacro e il profano del cibo, da alimenti che si trovano nelle cucine dei più grandi chef a particolari intingoli, golosità e ossessioni provenienti da tutto il mondo che non verranno mai inseriti nell’Olimpo del food.
Il loro scopo è però il medesimo: risvegliare le mie sinapsi sopite, calmare i miei nervi tesi, suscitare brividi lungo la colonna vertebrale.
Brutte o belle notizie meritano di esser sublimate con un sapore, eccellente o junk che sia, che sappia scuotermi come un paio di maracas, e olè. Se la ricerca spasmodica di emozione attraverso le papille è una patologia io ne sono affetta, e così tante altre persone.
L’olio Itranae è stato il protagonista di uno di questi momenti quando recentemente sono tornata a casa dopo una giornata infinita e, senza nemmeno togliere le scarpe o appoggiare la borsa, ho afferrato un piatto, delle fette di pane di castagne e versato alcune gocce brillanti e profumate. Al primo assaggio ho ritrovato la pace.
Ora vi racconto la sua storia.
L’olio monocultivar nasce sulle colline Pontine, nel basso Lazio, dove viene coltivata l’oliva Itrana, conosciuta anche come “Grossa di Gaeta”, “Trana” o “Esperia”. Già il poeta Virgilio l’aveva celebrata nel racconto di Enea e dei suoi marinai che, sbarcando sulle coste, l’avevano ben gradita (e a noi ci piacciono i riferimenti aulici del cibo, vero?).
Parliamo di un prodotto profondamente legato alla tradizione, al territorio e all’artigianalità: le olive vengono raccolte da appena 2.500 piante disposte su 10 ettari di terreno per una microproduzione che non supera i 3.000 litri. Una vera chicca per gli appassionati di bontà disponibile in tre formati (100, 250 e 500 ml) e tre tipologie (Tradizionale, Tardivo e Precoce).
Naturale, con ottime proprietà organolettiche e una bassissima acidità si presta a tutti gli usi ma, secondo il mio modesto parere, trova l’ovvia esaltazione a crudo.
Alla cura per la qualità si unisce lo studio di un packaging che sottolinea ancor più la liaison con la zona, presentando gli archi romani ispirati all’acquedotto “ai 25 ponti” delle vicinanze di Formia e un elegante albero d’ulivo. Lamine dorate e tratti bianchi spiccano su un elegante sfondo nero opaco.
Creatore di questo olio extravergine è l’imprenditore Enrico de Marco, che col marchio E’.D.ENRICO e il suo mosto l’olio MAETA si era già fatto notare da chef e estimatori.
Come potete immaginare questa preziosa bottiglia spicca nel reparto “meraviglie” della credenza e il mio contenuto viene centellinato e ben custodito, utilizzato nei momenti di bisogno come prezioso distillato per infondermi vitalità. Una bella e felice scoperta.
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