Un’altra delle peculiarità del mio viaggio a New York è stata sicuramente la casa, un appartamentino al 27esimo piano del grattacielo situato al 1600 Broadway, roba che quando mi dicevano “Vai al negozio degli M&M’s” io rispondevo “Ci abito sopra“, generando molto odio.
Ero così centrale e con così tante fermate della metropolitana vicine che era un piacere scendere e avventurarsi verso mete lontane, che tanto con i mezzi era un attimo.
Quindi una mattina ho comprato i biglietti da TKTS in Time Square (rischiando la morte per assideramento), ho bevuto il mio Venti Cappuccino del disgelo da Starbucks, sono andata a fare la manicure e mi sono lanciata verso la meta del mio sogno gastronomico, trovata chiusa troppe volte a causa delle feste di Capodanno. Io, più testarda di Karl Lagerfeld mentre lo convincono a togliersi almeno una volta gli occhiali da sole, ancora semi-congelata ma con delle meravigliose unghie viola ho così raggiunto il Doughnut Plant, indirizzo essenziale per tutti coloro che amano le ciambelle e ne vogliono assaggiare di speciali (mica quelle del Dunkin’ Donuts, per intenderci).
Varcata la soglia mi son trovata di fronte a una lista luminosa appesa sul muro con la lista dei gusti di ciambelle, che hanno richiesto tutta la mia attenzione: mica erano semplici, no, erano elaborati, particolari, strani e tutti pericolosamente irresistibili.
Così ho ordinato tre ciambelle e me le sono portate a casa, nell’appartamento amatissimo, in un tipico sacchetto di carta marrone riconosciuto al volo dal portinaio, che l’ha additato e commentato con un “Ebbravaragazzamia” ma in american, of course.
Mi sono tolta cappotto, tre sciarpe, due maglioni, biker boots, ho scongelato le mani sotto l’acqua calda, ho preso il sacchetto e mi sono seduta davanti alla vetrata vista grattacieli, scrocchiando le dita come se fossi stata Dottor House prima di un’operazione, e ho scelto la prima vittima tra le tre acquistate.
Così ho rimirato codesta ciambella quadrata, l’ho morsicata ed è stato amore.
Ripiena di banane ridotte in purea dolce e cremosa, sormontata da burro d’arachidi glassato che intrappolava frammenti di noccioline croccanti, it made my day.
Era deliziosa, così diversa da qualsiasi altra ciambella, così piena di somma freschezza all’interno quanto ricoperta da un decisissimo strato di buono e consolatorio mattone all’arachide.
I grattacieli sono spariti, e davanti ai miei occhi sono apparsi campi di noccioline festanti che abbracciavano una ciambella e con lei si buttavano nell’olio bollente per la frittura.
Credo che una mano si sia automaticamente levata in un saluto regale rivolto non si sa bene a chi ma segno di deciso apprezzamento.
Habemus donut.
Habemus la patria del donut.
Il miglior luogo in cui mangiare ciambelle nella Grande Mela.
Il posto in cui abbandonare i pensieri su zuccheri e calorie e abbandonarsi al relax.
Il locale è effettivamente molto carino e dallo stile “metropolitano”, con qualche cuscino a forma di ciambella qua e là.
Il consiglio è: se avete tempo, sedetevi e ordinate caffè americano e ciambelle, altrimenti portatele via come ho fatto io.
In ogni caso ordinate il donut con crema di banane, burro d’arachidi e noccioline: vi farà capire se esiste un dio, fa il fornaio.
Dove
Doughnut Plant
220 West 23rd Street
New York
(n.b. ce ne sono due.
L’altro, che non ho visitato, è in:
379 Grand Street
New York )
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