L’altro giorno, complice un tempo a dir poco orribile (in generale e soprattutto per essere Maggio), mi sono comportata da emiliana esemplare e ho cucinato il friggione.
Non che sia un piatto da stagioni fredde, dato che in terra natia lo si gusta anche con 40 gradi e umidità livello Niagara, ma non si tratta del massimo della leggerezza. Specialità con cui sono cresciuta, mi porta inevitabilmente con la mente ai pranzi di mia nonna, dove viene servita come contorno.
Così mi sono rimboccata le maniche, afferrato l’ombrello e sono andata da fruttivendolo e macellaio al grido di “Datemi i seguenti ingredienti che devo preparare il friggione, sorbole!” (tipicissima espressione del bolognese e provincia).
La ricetta che ho seguito è stata quella dell’Accademia Italiana della Cucina, che mi ha fornito il primo volume della Biblioteca di Cultura Gastronomica su salse e sughi regionali da mettere alla prova, frutto di ricerche accurate su storia e tradizione. Io, ovviamente, mi sono lanciata sull’Emilia Romagna consapevole che il piatto mi avrebbe portato grande conforto. Effetto collaterale: il creare gran curiosità nel fruttivendolo e nel macellaio, che mai ne avevano sentito parlare.
Cosa occorre? Gli ingredienti iconici sono cipolla, pomodoro e pancetta (tanta pancetta) che devono cuocere a lungo, anzi, lunghissimo: più stanno lì meglio è. La cucina verrà invasa da rustici profumi, la salivazione aumenterà e non ci sarà dieta che tenga. Cucinatelo con pazienza e tanto amore per l’Emilia, e quando sarà pronto accompagnatelo a dei secondi di carne o, se volete veramente esagerare, imbottiteci una tigella bollente. A prova di tempesta, tornado e, ovviamente, ritorno di Novembre.
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